Nella storia, tutta da piangere, della spesa pubblica italiana, c'è una data più nefasta delle altre: il 1° gennaio 1974. Quel triste giorno, entrò in vigore la riforma tributaria, approvata nell'ottobre 1971, che istituiva Irpef e Irpeg. Lo Stato, che mai era riuscito a far pagare le tasse a chi di soldi ne guadagnava davvero, aveva maramaldescamente deciso di rivalersi su coloro che non potevano concedersi il lusso dell'evasione. Nacque allora il sistema ancor oggi in vigore, via via perfezionato e inasprito, al punto di fare dei lavoratori italiani i più poveri d'Europa.
Per l'erario fu un successo: il gettito si consolidò e prese a crescere. Ma, di pari passo, crebbero a dismisura anche le uscite; fu quindi necessarlo, di anno in anno, aumentare il prelievo, che tuttavia consentiva, in una spirale demoniaca, nuovi esborsi. Fu insomma l'aumento delle entrate a determinare quello, vorticoso, del fabbisogno.
Lo stesso è in qualche misura accaduto alle società di calcio, che sono passate dalle ristrettezze al disastro da quando hanno cominciato a incassare i cospicui diritti delle tivù a pagamento; i generosi introiti, mai visti prima, le hanno condotte al collasso. I governi non si sono comportati diversamente: più avevano e più spendevano; sempre al di sopra delle loro, e delle nostre, possibilità, nell'illusione che a rimpinguare le casse altrimenti esauste sarebbe bastato un ritocco d'aliquota qui e un'accisa là.
In cambio d'una fiscalità vorace quanto uno stormo di locuste, l'Italia ha ricevuto il peggioramento verticale di tutto ciò che ha pagato e strapagato. Dagli anni Settanta in poi, non si sono più intraprese opere pubbliche, escluse beninteso le inutili e costose; strade e ferrovie non sono avanzate di un chilometro; scuola e sanità hanno perso d'efficienza; il trasporto locale è regredito a livelli africani; la burocrazia s'è aggrovigliata come un sottobosco tropicale. Per riassumere: tasse svedesi, servizi sovietici.
Ora, il cavalier Berlusconi, con grande scandalo di avversari e alleati, ha proclamato la volontà di tener fede alla prima delle sue promesse elettorali: meno tasse per tutti (promessa che avrebbe conosciuto la variante "meno tasse per Totti", se fosse passato il pallonaro decreto spalmadebito). Superate le difficoltà iniziali, minori introiti fiscali non aggraverebbero i conti pubblici, ma li potrebbero migliorare, in primo luogo perché indurrebbero camere e ministeri a una maggiore oculatezza.
Perché lorsignori non ne vogliano neppure sentir parlare, è presto detto.
L'attuale spremitura selvaggia dei contribuenti, benché disastrosa, ha consentito per decenni quella che si potrebbe definire una ridistribuzione mirata; ovvero, si toglie a molti per restituire a qualcuno. Una dimostrazione convincente d'una tale pratica la fornì l'indirnenticato Remo Gaspari, che quand'era ministro assunse legioni di postini provenienti, guarda caso, dal suo collegio elettorale. Non fu il solo, con il risultato che le lettere smisero di essere recapitate in tempi accettabili. In compenso, l'eccesso di personale, concentrato dove non serviva, determinò l'appiattimento delle retribuzioni, che divennero misere.
Inverando così, anche nell'ex bel Paese, il motto coniato dagli operai delle officine navali di Leningrado: voi fìngete di pagarci e noi fìngiamo di lavorare. Tra precari stabilizzati e leggine di spesa, gli esempi potrebbero moltiplicarsi; basti ricordare i prodiani lavori socialmente utili, che in realtà sono non lavori utili soltanto a chi li svolge.
L'andazzo, tuttavia, ha sorprendenti esiti elettorali: gruppi, corporazioni e territori beneficiati a scapito della comunità nazionale sanno come sdebitarsi. Il voto, diceva Bertolt Brecht, si può usare in due modi: come un'arma, o come una merce; e gl'Italiani, si sa, sono un popolo pacifico.
Berlusconi, con la sua proposta, ha quindi colpito al cuore il nostro costume politico, minacciando di privare gli eletti dal popolo - dal senato fino all'ultimo consigliere di circoscrizione - dell'argomento preferito: l'elargizione comunque mascherata di pubblico denaro. Soltanto un incosciente come lui può sperare di passarla liscia.